Sabato 4 aprile ore 18,30 nuovo appuntamento con la lirica in diretta streaming gratuita, nel dvd Dynamic l’edizione del 2010: Theodossiou protagonista, direttore Pirolli, regia Brockhaus
CATANIA – Da quasi due secoli il genio di Vincenzo Bellini risplende nei teatri di tutto il mondo e rifulge nella storia della musica, celebrato quale padre del melodramma romantico italiano e massimo “creatore di italiche melodie”, come scrisse Mario Rapisardi. Melodia ineguagliabile e ineguagliata è infatti quella del Cigno catanese, laddove il belcanto risulta innovativamente riconfigurato come espressione della drammaturgia e dunque profondamente legato al testo poetico. È con tali credenziali che il Nostro, grazie al linguaggio universale della musica, basti pensare all’incipit di “Casta diva”, si è imposto a livello globale come il più grande e ammaliante ambasciatore dell’identità culturale siciliana.
Non è dunque un caso che l’Orfeo dorico (la definizione è di D’Annunzio) si confermi protagonista assoluto del ciclo Teatro Bellini Story, che tanto successo sta riscuotendo con la diretta streaming gratuita dei video custoditi nell’archivio dell’ente: un servizio posto in atto per la gioia degli appassionati in questa emergenza sanitaria planetaria, che impone ad ognuno di noi il precetto #iorestoacasa senza però rinunciare a coltivare i propri interessi artistici e culturali.
Dunque Bellini. Dopo “Norma” e l’intermezzo verdiano di “Un ballo in maschera”, è ora la volta di “Beatrice Tenda”, di cui verrà proposta la prestigiosa edizione andata in scena nel dicembre 2010 e immortalata nel dvd realizzato in collaborazione con Dynamic, una delle più importanti case editrici del settore. L’appuntamento è per sabato 4 aprile alle 18.30 e iscriversi è semplicissimo. Orchestra, coro e tecnici del Teatro Massimo Bellini danno vita ad uno spettacolo animato da un cast di assoluta eccellenza. Sul podio Antonio Pirolli, mentre Henning Brockhaus firma regia, scene e luci, coadiuvato da Giancarlo Colis, costumista e assistente alle scene, e da Emma Scialfa, coreografa e assistente alla regia; maestro del coro è Tiziana Carlini, la realizzazione video di Mariangela Malvaso.
Nel ruolo del titolo, come nei citati dvd di “Norma” e “Un ballo in maschera”, ritroviamo il soprano greco Dimitra Theodossiou, stella della lirica che il pubblico catanese ha tante volte applaudito soprattutto per le performance belliniane e verdiane; il baritono Michele Kalmandi è Filippo Maria Visconti, il mezzosoprano catanese José Maria Lo Monaco dà voce al personaggio di Agnese del Maino, il tenore Alejandro Roy interpreta Orombello; nelle parti di fianco Michele Mauro (Anichino) e Alfio Marletta (Rizzardo del Maino).
Il nuovo allestimento era affidato al tedesco Brockhaus, due volte Premio Abbiati, che approda qui ad una visione quasi astratta, dominata dai toni del grigio, illuminato solo dal rosso vivido di cui si veste Beatrice, mentre su tutti incombe una minacciosa torre scura: «Attraverso un linguaggio onirico – spiega il regista – si è cercato di dare coesione al rapporto tra musica e rappresentazione scenica, instaurando tra esse un parallelismo e cercando di rendere attraverso la regia, la scenografia e i costumi l’intenzione poetica dell’autore».
“Beatrice di Tenda” è la penultima opera della produzione belliniana e anche quella che segnò la litigiosa fine della straordinaria e proficua collaborazione tra il compositore e il suo librettista Felice Romani.
Ma andiamo con ordine. Il plot s’ispira alla storia vera della duplice condanna a morte sanzionata, agli inizi del Quattrocento, da Filippo Maria Visconti, duca di Milano, ai danni della moglie Beatrice, contessa di Tenda, e del presunto amante Michele Orombello, signore di Ventimiglia, assunti nei secoli a fama di innocenti vittime. Nel 1825 la tragedia di Carlo Tedaldi-Flores consegnò l’iniqua sorte di Beatrice all’immaginario popolare, ispirando a sua volta il ballo di Antonio Monticini rappresentato alla Scala per inframmezzare gli atti di “Caritea regina di Spagna” di Saverio Mercadante. Il soggetto del ballo piacque tanto al soprano Giuditta Pasta, già creatrice dei ruoli di Norma e Sonnambula, che lo suggerì a Bellini, chiamato a scrivere l’opera di apertura della stagione di Carnevale del 1833 alla Fenice, di cui la stessa Pasta sarebbe stata la primadonna.
Ma Felice Romani da tempo stava lavorando per Bellini al libretto tratto da Cristina di Svezia di Dumas padre e non accolse di buon grado il cambiamento, tanto più che in quel frangente era oberato dalle richieste di altri celebri operisti, da Donizetti a Mercadante a Coccia. Beatrice ebbe perciò una genesi tormentata che risentì anche del ritardo con cui Romani consegnò i versi. La prima assoluta del 16 marzo 1833 nel teatro veneziano fu un insuccesso annunciato che Bellini attribuì al librettista. Ciò nonostante, l’opera contiene pagine interessanti, come le grandi scene di Beatrice e i due strabilianti ensemble, alla fine del primo atto e a metà del secondo, che anticipano le tinte verdiane.
Beatrice di Tenda è l’unico dramma storico del catalogo belliniano. L’azione ha luogo nel 1418 al castello di Binasco. Il ventenne Filippo Maria Visconti, duca di Milano, è insofferente al vincolo coniugale che lo lega alla matura Beatrice de’ Lascari, contessa di Tenda e già vedova del celebre condottiero Facino Cane. Beatrice ha portato in dote molte terre, permettendo al consorte di rafforzare il ducato, ma l’atteggiamento ostile di Filippo nei confronti dei sudditi acquisiti ha aperto un baratro tra i due coniugi. Come se non bastasse, Agnese del Maino, amante di Filippo ma innamorata di Orombello, signore di Ventimiglia, scopre che il cuore di quest’ultimo batte segretamente per Beatrice.
Decide perciò di vendicarsi rivelando a Filippo il presunto adulterio. Intanto Orombello ha radunato contro il duca gli uomini devoti a Facino Cane e dichiara a Beatrice il proprio piano e i propri sentimenti. Quando Agnese e Filippo colgono Orombello inginocchiato ai piedi della contessa, vedono in ciò la prova certa del tradimento e del complotto.
Ma nel processo che segue Orombello ritratta le false accuse a lui estorte sotto tortura, proclamando l’innocenza di Beatrice. Perciò Filippo esita a firmare la sentenza, in preda ai sensi di colpa. A farlo decidere è però la notizia che la fazione avversa è pronta ad intervenire armata a favore di Beatrice, che accetta invece con senso religioso l’atroce ingiustizia, perdonando il marito e Agnese, così come Orombello perdona i nemici politici. Quindi la contessa si incammina verso il patibolo, mentre il suo popolo le esprime il commosso cordoglio.